Nella calca mediatica che puntualmente precede le elezioni, siano esse politiche, europee o comunali, sentiamo ogni giorno moltiplicarsi dati, concetti e promesse mirate a strappare i voti necessari per aumentare la propria visibilità politica. Tuttavia, nell’inevitabile competizione al rialzo delle promesse più succulente per un elettorato impoverito da 6 anni di crisi economica, alcuni impegni presi in caso di vittoria risultano essere assolutamente fuori dalla portata reale dei candidati politici che li assumono e alcuni dati suonano più come alibi politici. Vediamo quali:
1: “Strapperemo i Trattati Europei che strangolano gli italiani”
Questa frase risulta essere la classica promessa che nasconde, dietro un’esasperata semplificazione dei complessi meccanismi di revisione dei trattati europei, una vera e propria menzogna nei confronti dell’elettorato. Al di là di ogni considerazione contenutistica dei temi per cui i partiti politici vorrebbero modificare i trattati europei, da un punto di vista formale, la revisione dei trattati comporta un procedimento molto specifico. L’articolo 48 del Trattato di Lisbona prevede una complessa procedura di revisione dei trattati all’interno della quale il Parlamento Europeo, organo oggetto del rinnovo elettorale del prossimo 25 maggio, è coinvolto solo in maniera marginale. L’Europarlamento ha un potere di iniziativa – al pari di qualunque Stato membro dell’UE o della Commissione Europea – attraverso cui proporre una revisione e, in aggiunta, un potere di consultazione non vincolante durante le trattative preparatorie della Conferenza dei Rappresentanti degli Stati membri che negozieranno l’eventuale modifica ai trattati. Successivamente, per modificare un trattato è necessario il voto all’unanimità dei membri dei governi all’interno della Conferenza dei Rappresentanti e la successiva ratifica dei 4/5 dei Parlamenti nazionali degli Stati membri entro 2 anni. Risulta dunque evidente, ad un elettore informato, che la promessa di modificare i trattati in vigore sia svincolata dalle reali possibilità del partito o del candidato. Anche volendo considerare che in questa frase sia insita la sola promessa di una presa di iniziativa all’interno del Parlamento Europeo, sarebbe parimenti un impegno elettorale fasullo in quanto già nei Parlamenti nazionali è possibile articolare processi di iniziativa al fine di revisionare i trattati europei. Altro discorso sarebbe intendere una frase del genere nell’ottica dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona che prevede esplicitamente il diritto di recesso: ogni Stato membro dell’Unione che voglia svincolarsi dai trattati è libero di farlo tramite la sola notifica del proprio Governo al Consiglio Europeo. In tal caso, il diritto di recesso è riconosciuto solo al Governo del paese in considerazione – e non ai parlamentari europei dello Stato – ed è relativo ad un recesso totale del trattato, equivalente ad un’uscita completa dall’Unione Europea. Anche in questo secondo caso, in termini di possibilità reali di attuazione (il partito in questione dovrebbe prima arrivare al governo del paese membro), l’impegno risulta svuotato di ogni realizzabilità reale.
2. “Basta Euro: ha impoverito gli italiani”
Dando una rapida occhiata alle 18 economie che hanno adottato l’euro nel 1999, negli ultimi 14 anni di moneta unica solo un Paese non ha aumentato il proprio prodotto interno pro capite: l’Italia. A fronte degli aumenti di tutte le altre 17 economie, l’Italia ha visto il PIL pro capite ridursi del 3%. I politici che prendono di mira la moneta unica sono soliti ripetere che la negoziazione del cambio della valuta sia stata fatta ai danni dell’Italia da paesi come la Germania, che hanno invece giovato assai del cambio fissato con la valuta nazionale precedente l’euro. Pur ammettendo le imperfezioni del sistema monetario, davvero questi politici sono disposti a credere che l’Italia sia stata oggetto di una macchinazione ai suoi danni orchestrata da ben 17 paesi membri che, al suo opposto, hanno visto il prodotto pro capite aumentare anziché diminuire? L’idea dell’Italia nelle vesti del “Pulcinella d’Europa”, continuo oggetto di congiure ai suoi danni, ribalterebbe un luogo comune sul popolo italiano, di certo non culturalmente celebre per farsi prender per fesso, quanto più per essere scaltro e opportunista. E scaltri e opportunisti furono senz’altro i commercianti delle città italiane che dal 31 dicembre 1999 al 1 gennaio 2000 cambiarono i cartellini sui loro prodotti dalle 10 mila lire ai 10 euro, dalle 50 mila lire ai 50 euro e dai 100 mila lire ai 100 euro, dando vita a spirali incontrollate di aumento del costo della vita sproporzionate alla conversione al millesimo degli stipendi secondo il cambio delle 1.936,27 lire per ogni euro. Anziché prendersela con i governi di allora, sostenuti da buona parte dei candidati alle prossime elezioni europee e colpevoli di non aver vigilato attentamente sui casi di conversione illecita e arbitraria dei prezzi secondo il cambio negoziato con Bruxelles, risulta ad oggi più semplice additare la moneta quale responsabile della crisi in cui oggi siamo. Si sa, in campagna elettorale chiamare il cittadino ad un’autocritica sulle omissioni e sui sotterfugi commessi in passato non porta molti voti: accusare l’evasore fiscale, anch’egli elettore, di sottrarre 120 miliardi all’anno alle casse dello Stato o il commerciante disonesto di aver fatto la cresta sul cambio euro-lira mentre lo Stato dormiva, è meno proficuo che elevare la moneta unica a madre di tutti i mali. Una strategia tanto efficace in termini di consensi quanto dannosa in termini di un’evoluzione della consapevolezza politica.
Davide Vavassori
mi sono permesso di approfondire l’articolo 🙂 http://stemctost.wordpress.com/2014/05/05/5038/
Se un politico ha deciso di raccontare le bugie che ha sentito vivendo in quell’ambiente…
http://www.chedonna.it/2014/05/11/tiziano-motti-eurodeputato-canta-menzogne-politica/