Il progetto europeo, nella sua eccezionalità non solo politica ma soprattutto culturale, si pone come obiettivo finale la formulazione di risposte comuni a problemi comuni degli Stati membri dell’Unione Europea attraverso politiche adottate da istituzioni sovranazionali che siano vincolanti per gli Stati membri e le loro realtà territoriali. Tappa imprescindibile in questo processo, è quella di identificare una strategia comune per far interagire i vari centri di potere locali all’interno del sistema di potere unificato: in altre parole di analizzare le realtà politiche nazionali e locali, in tutte le loro peculiarità culturali dei 28 paesi dell’Unione, per capire come meglio coordinare gli sforzi nel rispetto delle entità politiche preesistenti.
In questo senso, l’Unione Europea ha da tempo riconosciuto il valore delle entità regionali sul territorio: gli enti locali sono infatti situati, per loro stessa natura, in una posizione più prossima di quanto non sia quella del governo statale ai bisogni dei cittadini europei. Per una maggiore efficacia e una vicinanza politica ai propri cittadini, a partire dagli anni ’90 l’Unione Europea chiese ai propri Stati membri di poter dialogare con le regioni in maniera diretta, in particolar modo per quanto riguarda i progetti specifici sul territorio, senza la mediazione statale. Tuttavia negli anni ‘90 si pose un problema di non poco conto: come fare con gli Stati membri che non hanno una realtà regionale strutturata? Ad esempio la Francia, per sua storia costituzionale, ha da sempre un’organizzazione interna votata alla centralità amministrativa, senza una divisione effettiva delle competenze politiche a livello amministrativo nelle sue regioni territoriali. Ancora più significativo è l’esempio dei nuovi Stati membri accolti nell’Unione nel 2004: reduci da esperienze di tipo autoritario, molti degli Stati ex sovietici non conoscevano un sistema amministrativo decentralizzato, avendo al contrario come unica esperienza la piramide gerarchica comunista che, in virtù di un controllo attento sulla vita politica del paese, si presentava come fortemente centralizzata. L’Unione Europea prese l’onere di incidere sul sistema politico interno dei propri Stati membri: quando la Polonia entrò nell’UE nel 2004, Bruxelles richiese esplicitamente di poter dialogare con delle entità locali e, data la loro mancanza, pose come requisito fondamentale per la ricezione dei fondi strutturali europei all’agricoltura (di cui ad oggi la Polonia è grande beneficiaria) la creazione di enti locali con cui interagire. Memore del funesto passato polacco, in cui buona parte del denaro pubblico stanziato a livello nazionale a favore delle comunità locali non arrivava a destinazione ma si perdeva nei meandri infiniti del pesante sistema burocratico comunista centralizzato, l’UE chiedeva di poter scavalcare l’apparato nazionale per tutte quelle misure che riguardavano le entità locali in modo diretto. Dal 2004 la Polonia avviò dunque una serie di riforme per poter usufruire dei fondi strutturali dell’UE nel rispetto delle regolamentazioni europee.
Un organo di rilevante importanza per la strutturazione del sistema europeo con le regioni è il Comitato delle Regioni: questo comitato è composto dai rappresentanti delle collettività locali i quali devono essere titolari di un mandato elettorale o comunque responsabili politicamente verso un’assemblea eletta. Tuttavia, sia la composizione che la procedura di nomina dei membri del Comitato sono improntate a una visione centralista che contraddice la missione del Comitato stesso: le regioni non hanno alcun ruolo formale nella designazione dei membri del Comitato, né vi è un rapporto tra il numero dei membri attribuiti ai vari Stati e le ripartizioni interne di questi ultimi. Il Comitato ha funzioni solamente consultive e non ha poteri legislativi, il che lascia ampi margini di miglioramento per ciò che riguarda il dialogo UE-Regioni.
In ultimo va ricordato come sia complesso armonizzare il processo decisionale e implementativo in un sistema di leggi complesso come quello che governa il territorio europeo. Un esempio può fornirlo il tema dell’ambiente: in Italia la tutela dell’ambiente viene riconosciuta come materia nazionale, mentre la valorizzazione dell’ambiente è materia regionale e, parallelamente, l’Unione Europea indica come materia concorrente – ovvero materia in cui gli Stati possono legiferare solo in accordo con le leggi europee e non in particolari sotto-tematiche che l’UE abbia già regolamentato a titolo completo. Dove finisce la tutela e dove inizia la valorizzazione? In che punto delle politiche ambientali bisogna applicare la legge regionale, quella nazionale o quella europea? Come si può ben capire, la sovrapposizione di diverso livello rende l’applicazione del diritto impresa ardua in certi settori. Certo è che il processo di interazione per la formulazione delle politiche europee dovrà tenere più in conto questi meccanismi in futuro, con l’ambizioso obiettivo di dare una semplificazione normativa ad una complessità strutturale endemica.
Davide Vavassori
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