Si avvicina rapidamente il 17 dicembre, ultimo giorno per poter versare il saldo IMU senza incappare in sanzioni. Pagare le tasse in Italia non è solo un onere o un dovere sancito dall’art. 53 della Costituzione, si tratta in molti casi di una inutile complicazione. Ma qual è il pensiero della Chiesa intorno alle tematiche tributarie? È credibile l’accusa di complicità o indifferenza di fronte all’evasione e alla frode fiscale? Domande retoriche, basti citare il celebre passo evangelico del “date a Cesare quel che è di Cesare” per sgombrare ogni equivoco. Ma la Chiesa è maestra e ci insegna che la riflessione porta ad una libera adesione alla Verità, non la mera obbedienza pedissequa: siamo liberi perché il nostro personale e ragionevole ossequio alla Verità di Cristo ci permette di esserlo. La Chiesa ci invita pertanto a riflettere le parole del Vangelo sulla scia dei primi testimoni, alla luce della Tradizione e con l’aiuto fondamentale della Patristica e del Magistero. Ecco allora Paolo, nella sua Lettera ai Romani: “Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse le tasse; a chi il timore il timore; a chi il rispetto il rispetto” (Rom 13,5-7). Siamo nel 150 d.C. quando Giustino martire, scrivendo all’Imperatore, rivendicava per i cristiani l’onestà: “Noi cerchiamo di pagare per primi i tributi e le imposte come siamo istruiti da Gesù” (Apologia I,17). Credo che, a questo punto, non ci siano dubbi sull’illiceità del non pagare le tasse. Ma stiamo parlando di illiceità e, in termini positivi, per usare un altro termine molto più utilizzato nel dibattito politico, di legalità. Proviamo ad andare oltre, alla fonte della legalità, al concetto di giustizia e di equità. Ed è qui che scopriamo le cose più interessanti (e urticanti anche per il discorso IMU): è la Rerum Novarum scritta da Leone XIII a complicare la faccenda: “la privata proprietà non deve essere oppressa da imposte eccessive”. È giusta un’imposta patrimoniale? Se lo è, quando è anche equa? In questo caso siamo nel 1891, erano tempi di povertà contadina e si avvertiva esoso l’intervento dello Stato che si rivaleva soprattutto sul possesso della terra. “L’imposta non può mai diventare, per opera dei poteri pubblici, un comodo metodo per colmare i deficit provocati da un’amministrazione imprevidente”, Pio XII, nell’allocuzione al Congresso dell’Associazione fiscale internazionale sulla natura e i limiti delle tasse (2 ottobre 1956), tocca un altro tasto dolente: un “comodo metodo” quello dell’aumento dell’imposizione per correggere e risanare la finanza pubblica. Vengono i brividi se rileggiamo attentamente queste righe e ascoltiamo quanto ha da dire la Banca Mondiale riguardo al peso complessivo delle imposte e dei contributi sul lavoro nel nostro paese: 68,6% (fonte: Paying Taxes 2011, studio realizzato dalla Banca Mondiale e dalla PriceWaterhouse Cooper), siamo al 170° posto su 183 paesi considerati. Una incidenza a dir poco drammatica. Una pura follia. Cui prodest? A chi giova questo elevato tasso impositivo se è da decenni che sentiamo parlare di debito publico e da pochi mesi di pareggio di bilancio in Costituzione? Attenzione però, di fronte a questi dati e a questi fatti, si incappa nella solita scappatoia semplicistica: “ma allora evadere è lecito”, dimenticandosi quelle due righe fondamentali che la Gaudium et Spes ci ha lasciato da meditare quotidianamente, pensate e scritte – così mi pare, ma è una mia esagerazione – conoscendo profondamente l’animo italico: “Non pochi non si vergognano di evadere, con vari sotterfugi e frodi, alle giuste imposte o agli altri obblighi sociali. Sacro sia per tutti porre tra i doveri principali dell’uomo moderno, e osservare, gli obblighi sociali” (GS 30). Di fronte a questa situazione difficile pertanto è richiesto a ogni cittadino, e a maggior ragione a un cattolico, un supplemento di onestà nel perseguire una via trasparente e limpida di fronte allo Stato. Dall’altra parte però è ugualmente richiesto, con urgenza e a ciascuno di noi, il bisogno di formarsi e di studiare nuove soluzioni per fronteggiare le reali criticità impositive e del bilancio italiano, alzando la voce – utilizzando gli strumenti che la nostra Costituzione ci mette a disposizione, quali ad esempio il voto (art. 48) o l’impegno attivo nei partiti (art. 49) – con i nostri governanti.
Ma torniamo al punto da cui siamo partiti concentrandoci sul caso concreto dell’IMU. L’imposta si calcola a partire dalla rivalutazione della rendita catastale dell’abitazione sommata a quella di eventuali pertinenze. La rendita, da non confondere con il valore catastale, può essere ricavata dall’atto di compravendita o dalla dichiarazione dei redditi. Il dato certo è che l’IMU la pagherà chiunque, persona fisica o giuridica, risulta essere proprietario di un bene immobile. Come la vecchia ICI, ma anche oltre perché l’IMU grava ugualmente sui fondi agricoli. Già a partire da questi dati, sembra che la situazione attuale dell’imposta provochi rilevanti iniquità. Se per calcolare l’IMU, infatti, si partisse dal valore di mercato dell’immobile e non dalla rendita catastale, si potrebbe rendere la tassa più equa e garantire coerenza con la reale situazione dei contribuenti. Equità appunto, concetto strettamente legato al concetto di giustizia come poco si scriveva. I concetti di equità orizzontale e verticale sono due criteri chiave della costruzione dei sistemi fiscali. Il prelievo sul patrimonio immobiliare, così come previsto dall’IMU, sembra contraddirli entrambi. L’equità orizzontale è “un principio fiscale in base al quale contribuenti con la stessa capacità contributiva, rappresentata nel caso specifico dal valore di mercato dell’immobile di proprietà, devono essere assoggettati alla stessa aliquota media”. Nel caso IMU, come sottolineano gli economisti de Lavoce.info, la capacità contributiva “è rappresentata dal valore dell’immobile ma la rendita catastale non vi corrisponde e in più la distanza fra i due valori cambia a seconda delle tipologie di immobili e dei territori creando una sperequazione”. Il principio dell’equità verticale vuole invece che a maggiore possibilità corrisponda maggiore imposta. E invece “l’attuale dinamica delle rendite catastali è tale che quando cresce il valore di mercato degli immobili aumenti anche la distanza con il valore catastale”: in pratica, con l’aumentare del valore del bene tassato, il contribuente paga una tassa più bassa (perché calcolata sul valore catastale, che resta invece basso). Risultato: l’IMU diventa “di fatto un prelievo regressivo”.
Tocca a noi cittadini vigilare sul legislatore tributario perché attui miglioramenti a riguardo, al più presto. Come? Rileggersi la prima parte, ci credo molto.
Grazie Stefano. Mi sembra che tu tocchi i punti fondamentali della questione fiscale. Vorrei farti due domande: 1 quale dovrebbe essere, tenedo conto anche della progressività dell’imposta, il massimo di tasse da pagare? Esiste una aliquota “giusta” oltre la quale lo stato commette una ingiustizia (mi verrebbe da dire è ladro?) 2 Come mai si è arrivati a questo livello di imposizione : dove sta lo spreco o l’errore di concezione? Ancora Grazie Ciao Alberto Teatini
Dottore, sfonda una porta aperta. Domande ardue, difficili, ma a cui bisogna dare una risposta. Ci provo, son idee che a mio avviso potrebbero funzionare se supportate però da una forte volontà politica e tecnica. Il tutto ovviamente contornato da una profonda revisione della spesa pubblica, vero cancro della nostra Italia. Due le colonne portanti della riforma:
1) Profonda riforma fiscale: abolizione Ires e Irap per i redditi di impresa e Irap per i lavoratori autonomi con stabile organizzazione, riorganizzazione di tutto l’apparato impositivo, anche delle persone fisiche che mantenga comunque la progressività delle aliquote secondo l’art 53 della Costituzione, sulla base di tre macro-livelli istituzionali: COMUNE – REGIONE – STATO. Imposta Comunale, Imposta Regionale (la più pesante) e Imposta Nazionale. Complessivamente non si deve superare il 30% del reddito imponibile. I Comuni potranno liberamente prelevare imposte comunali o decidere supplementi/sconti nell’ambito della tariffa base comunale a seconda dei bisogni della collettività e tramite referendum diretti. Le Regioni avranno a disposizione oltre alle imposte sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche, anche un insieme di imposte di natura immobiliare, sulle successioni e sulle donazioni, sulla sanità e tasse di bollo. A livello nazionale, il gettito verrà garantito – in misura minore degli altri due livelli per incentivare lo snellimento istituzionale e la concentrazione locale delle risorse – da imposta sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, altre fonti come l’imposta sul valore aggiunto, imposta sul tabacco, imposta sugli oli minerali, imposta sugli autoveicoli, imposta sulle bevande distillate, tributi doganali e dazi. Si creerà così una leale competizione fiscale tra Comuni e tra Regioni per favorire l’attrattività degli insediamenti di impresa e dei complessi abitativi.
2) Puntare all’eccellenza nel settore pubblico. Rivedere le modalità di accesso e di uscita, favorendo il continuo scambio di personale anche con altri settori (profit e non profit). Rivedere il “concorso pubblico” per dare evidenza delle responsabilità delle persone che selezionano (con l’idea del “metodo oggettivo” i selezionatori si sono lavati le mani rispetto alle loro scelte) e introdurre valutazioni delle attitudini, del potenziale, non solo delle competenze giuridiche. Il settore pubblico deve ritornare ad essere un ambito professionale attraente per i migliori, un luogo più dinamico e flessibile, dove si introducano politiche di valorizzazione delle risorse umane finalmente svecchiate. Obbligo di trasparenza verso i cittadini (redditi pubblici). Soprattutto Agenzia delle Entrate: promuovere un rapporto di fiducia con il contribuente secondo la logica del “do fiducia e pretendo fiducia”. Via l’esecutività dopo i 60 giorni dall’avviso di accertamento, pieno utilizzo della compensazione dei crediti tributari, e controllo “personalizzato” vale a dire: un impiegato di alto livello, che risponde a un dirigente (laureato, con master pagato dallo Stato), che segue 200 aziende di un determinato territorio, così le conosce, guarda in faccia gli imprenditori, sa la storia che c’è dietro quella realtà produttiva, solo così davvero verrà rispettato l’articolo 53 della nostra Costituzione, la “reale capacità contributiva”. Punizioni certe e severe per chi sgarra, cioè semplicemente per chi non ha saputo meritare fiducia.
Un sogno?