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generali, opinioni

Europarlamento: la casa del dialogo politico

An overhead view shows the plenary sessiAll’avvicinarsi delle elezioni europee del 25 maggio, unico giorno di voto disponibile, tutti i partiti politici italiani sono impegnati a scrivere le liste dei propri candidati, stilare i programmi di governo e a portare nelle piazze le proprie idee, nascondendo a tutto l’elettorato una grande verità: non potranno attuare una sola proposta del loro programma a meno che non riescano a convincere gli altri partiti della bontà delle loro idee. Infatti, caratteristica taciuta da ogni politicante in lotta per un seggio all’Europarlamento in difesa della propria virile intransigenza verso l’Europa padrona, è che dalle elezioni europee difficilmente esce vincitrice una sola forza partitica, il che rende il dialogo e il compromesso tra le parti in gioco l’unica strada possibile per approvare regolamenti e direttive in questa sede legislativa tanto diversa dalla nostra. A differenza del Parlamento italiano, l’Europarlamento non è mai stato governato da un’unica maggioranza: nella corrente legislatura 2009-2014, ad esempio, la composizione è tale per cui nessuna coalizione riesce ad imporre la propria visione dell’Europa a chi ha preso meno voti dei suoi, ma deve scendere a patti con il vicino di seggio. Su un totale di 736 seggi, 265 sono occupati dal Partito Popolare Europeo (di cui fa parte Forza Italia), 184 dal Partito del Socialismo Europeo (di cui fa parte il PD), 84 dal Partito Europeo dei Liberali (di cui fa parte l’Italia dei Valori), 55 dal Partito Verde Europeo e i restanti  148 da vari partiti, dagli euro-scettici ai nazionalisti all’estrema sinistra. Al lettore dovrebbe essere chiaro che, per raggiungere la maggioranza richiesta dalla procedura di legislazione ordinaria di 391 voti per la maggior parte delle votazioni importanti, ognuno di questi partiti ha la necessità di allearsi con gli altri per proporre emendamenti e modifiche che diano un senso ai bisogni della classe di cittadini rappresentati all’interno del partito, oppure rassegnarsi a fare vuota propaganda ostruzionista fine a sé stessa. Al contrario del Parlamento italiano, dove per “alleanza” s’intende un patto stabile tra forze politiche richiesto dalla necessità di votare una fiducia continua al Governo, nell’Europarlamento – dove una fiducia ad un “governo europeo” non è richiesta – le alleanze sono estremamente flessibili e modificabili a seconda del tema oggetto delle votazioni per cui, ad esempio, il Partito Socialista valuterà di volta in volta quale delle varie forze politiche ha posizioni e valori più simili ai suoi, in modo da raggiungere compromessi temporanei che attuino i propri programmi. Questo meccanismo può sembrare matrice di risultati inevitabilmente ambigui, e talvolta lo è stato, ma in generale è stato negli anni fonte di una legislazione di qualità. Inoltre, una strutturazione politica del genere è la sola che possa tutelare le enormi diversità di cui si fa portatore il panorama politico, e umano, europeo: immaginate di dover conciliare le necessità di 500 milioni di cittadini figli di diverse tradizioni nazionali, estrazioni politiche e classi sociali. Considerando che l’Italia, un paese che ospita poco più di un decimo dei cittadini europei, ha già evidenti difficoltà a trovare una sintesi tra posizioni politiche di partiti culturalmente omogene, è ulteriormente evidente come non si possa chiedere a Bruxelles ciò che si chiede a Roma.

Analizzando la politica come un fenomeno umano composto da due momenti – uno analitico e uno sintetico – , risulta più facile capire come la strutturale ricerca di un compromesso tra le forze politiche europee sia fonte di tutela al cittadino. Un primo momento analitico della politica è caratterizzato dall’identificazione e dall’analisi dei problemi che la legislazione dovrà affrontare. In questo primo momento la partecipazione dei singoli, dell’elettorato e delle individualità territoriali che vivono sulla propria pelle le difficoltà e gli attriti delle imperfezioni legislative, arricchisce enormemente la visione spesso miope e lontana del legislatore seduto a Bruxelles. Tuttavia nel secondo momento, quello di sintesi delle soluzioni da offrire ai problemi identificati nel primo periodo analitico, la chiamata partecipativa forzata dei singoli cittadini non sempre equivale a un arricchimento dei contenuti, tradendo invece spesso una propaganda fine a sé stessa nella semplificazione delle complesse realtà empiriche osservate nella prima fase. Infatti, a differenza del primo momento analitico, questo secondo momento politico richiede una sviluppata capacità degli eletti di elaborare delle soluzioni ai problemi identificati che, non solo non creino altri problemi collaterali a realtà non considerate durante la prima analisi del problema, ma siano anche consapevoli del caleidoscopico contesto legislativo nel quale andranno a inserirsi e che andranno a modificare. In questo secondo momento, i rappresentanti eletti devono essere in grado di identificare, tenendo fermi i propri valori fondamentali, quali aspetti possono essere negoziabili e quali no, evitando di arroccarsi su posizioni totalitarie del tutto o niente, del bianco o nero tanto utili in campagna elettorale quanto paralizzanti nel dialogo politico legislativo. Se questa operazione di dialogo rappresenta un’opzione indesiderata a livello italiano, dove si confonde la coerenza con i propri valori con l’impossibilità a riconoscere un’evoluzione della propria comprensione del fenomeno osservato e la ricerca di un compromesso per il bene comune, a livello europeo essa non rappresenta tanto un’opzione quanto l’unica strada per trovare una sintesi che renda giustizia alla diversità della quale sono portatori le variegate realtà europee.

Questo dovrebbe essere fonte di spunto per quegli elettori europei intransigenti convinti di stringere in pugno una verità assoluta da testimoniare agli altri: la consapevolezza delle dimensioni europee dovrebbe aiutare noi italiani a scegliere i nostri rappresentanti non solo per i loro candidati e i loro programmi, ma anche per l’effettiva possibilità che i rappresentanti scelti avranno, una volta seduti sul loro scranno legislativo, di attuare nella realtà ciò che promettono ai propri elettori. Che l’elettore europeo sappia che a Bruxelles la disponibilità al dialogo e al compromesso è una caratteristica imprescindibile dall’attuazione di un cambiamento autentico, non tanto per un capriccio burocratico, quanto più per tutela del cittadino stesso; in caso contrario le parole dette dai candidati restano solo frasi stampate su un volantino colorato durante una delle tante campagne elettorali.

Davide Vavassori

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