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Elezioni Europee 2014: i perché di una svolta

ElezioniAll’avvicinarsi del mese di maggio, da più parti si alza l’aspettativa verso le prossime elezioni europee, dipinte da molti come un punto di svolta epocale nella storia delle istituzioni europee. L’idea che rimbalza da una parte all’altra del vecchio continente è che il prossimo appuntamento elettorale che si svolgerà tra il 22 e il 25 maggio, sia l’occasione per chiedere ai cittadini europei di esprimersi sull’operato dell’Europa e le possibili strade di cambiamento, quasi si trattasse di un referendum sulla condotta economica e sociale delle istituzioni che hanno gestito il difficile passaggio storico-economico che abbiamo vissuto dal 2008 a oggi. A giustificare il profondo valore delle prossime elezioni europee – fenomeno elettorale abitualmente sottovalutato nel panorama politico italiano – ci sono numerosi fattori di interesse, tra cui due meritano particolare attenzione: la possibilità per i partiti europei di candidare un loro candidato alla presidenza della Commissione europea, e l’attenzione, senza precedenti, prestata dai mezzi di comunicazione all’operato di Bruxelles negli ultimi anni.

Quanto al primo punto, il fatto che i partiti politici giochino una parte più incisiva nella nomina del Presidente della Commissione – attraverso un nuovo ruolo del Parlamento Europeo introdotto nel 2009 dal Trattato di Lisbona – non è cosa nuova. Nelle elezioni 2009, il Partito Popolare Europeo (PPE) indicò la figura di Manuel Barroso per ricoprire la carica, grazie appunto alle norme modificate da Lisbona che dotavano il Parlamento del potere non solo di ratificare una persona indicata a maggioranza dal Consiglio Europeo, ma di eleggerlo a tutti gli effetti con le maggioranze parlamentari venute a crearsi. Ad ogni modo, nel 2009 venne indicato un solo candidato il che, comparato alla corsa in atto tra i 6 candidati emersi finora, rese il dibattito politico  di tutt’altra natura rispetto a quello che si profila nei prossimi mesi. Inoltre, lo stretto legame tra le elezioni e la nomina del prossimo Presidente della Commissione, è dato dalla loro coincidenza con la scadenza del mandato di  Barroso: eletto nel luglio 2009 con un mandato quinquennale, terminerà il suo incarico a meno di due mesi dal rinnovamento dell’Europarlamento.
La nomina del Presidente della Commissione Europea, personalità a capo dell’istituzione comunitaria esecutiva dell’Unione, è stata spesso oggetto di critiche legate al deficit democratico a fronte della proposta di una elezione popolare diretta della figura più potente a livello istituzionale europeo. Questa critica, condivisa trasversalmente da ogni realtà partitica in Europa, ha rinfocolato l’attenzione dei partiti al coinvolgimento dei cittadini nella scelta di una figura nominata fino ad oggi attraverso vie alternative alla democrazia rappresentativa e oggi per la prima volta oggetto di una candidatura messa alla prova del voto a suffragio universale (seppur ancora attraverso il filtro del prossimo Europarlamento). Concettualmente, la campagna elettorale che prenderà il via tra poche settimane segna di per sé già una svolta nel contesto della democrazia europea: mai prima d’ora i partiti si erano sfidati a sostenere a viso aperto un candidato alla più alta posizione sovranazionale europea. Inoltre, dal punto di vista dei cittadini, assistere ad un confronto serrato tra i candidati effettivi alla Presidenza della Commissione, affascinerà molto di più l’elettorato, spettatore di un confronto tra personalità mosse dall’impetuoso stimolo di assicurarsi il maggior numero di consensi in Parlamento, che aumenterà pertanto la qualità del dibattito sui temi a cuore del cittadino europeo.

L’altra ragione che ha portato sotto i riflettori mediatici le prossime elezioni europee, attraverso una spirale in un certo senso auto-alimentata, è stata l’attenzione stessa posta da mass media e politici nei confronti dell’agire dell’Unione Europea in questi anni di crisi. In risposta alla necessità pratica di trovare un colpevole all’immobilismo decisionale e all’inadeguatezza delle politiche di aumento spensierato del debito prima e di austerità poi, i rappresentanti politici dei governi in carica, al momento dell’acuirsi della crisi, mostrarono un solerte impegno nel ricoprire di responsabilità il legislatore europeo di fronte alla crisi economica venuta a crearsi a livello nazionale. È utile ricordare come questi stessi politici abbiano prima rifiutato di cedere poteri decisionali in materia fiscale all’Unione Europea, per poi lamentarsi dell’inefficacia delle politiche monetarie in un secondo tempo, pur sapendo da sempre che i due strumenti economici debbano essere utilizzati in simbiosi ove si voglia perseguire una strategia mirata alla crescita sostenibile. È altrettanto significativo notare come le maggiori critiche a questo operare siano arrivate in merito agli aiuti finanziari erogati nei paesi in difficoltà, aiuti subordinati alle richieste di riforme interne e mirate ad uno stretto controllo del bilancio statale spesso accompagnato da tagli alla spesa pubblica concettualizzati nella formula austerity. Tuttavia, per quanto sia indubbiamente contestabile la scarsa lungimiranza posta dalle istituzioni europee attraverso le condizionalità economiche legate ai prestiti, non bisogna scordare che tali prestiti dovettero essere erogati in seguito a una condotta scellerata a livello nazionale, salvo poi accusare l’UE di aver alimentato la crisi tramite politiche di austerità attuate in un secondo momento. Sebbene il fatto che Bruxelles abbia dovuto erogare prestiti straordinari sia stato causato dall’indebitamento esponenziale del Tesoro italiano, dal settore pubblico greco capace di assumere migliaia di dipendenti e di pensionarli a 55 anni e dal controllo inadeguato del governo spagnolo sulla solidità delle banche private a cui erogava prestiti, il dito puntato sulle istituzioni esterne al governo nazionale ha riconciliato il dibattito nazionale interno e ha spostato univocamente l’attenzione sull’Europa a beneficio di tutta la componentistica nazionale gravata di responsabilità dure da gestire in campagna elettorale.

Martin Schultz – uno dei 6 candidati alla Presidenza della Commissione Europea – afferma: “Dicono alla gente che questo è un referendum per dire si o no all’Europa. Questo è sbagliato. L’Unione europea continuerà ad esistere il 26 maggio. Non si tratta di un si o un no all’Europa. Ma si tratta di dire quale Europa vogliamo”. Farsi largo nella retorica vuota usata in modo scaltro per fuggire dalle proprie responsabilità politiche passate sarà impresa di non poco conto per l’elettore europeo nei prossimi mesi. In palio c’è la possibilità di elaborare, già a partire dallo svolgimento identitario – e dunque emotivo – della campagna elettorale dei prossimi mesi, un concetto di sistema di potere che non scappi dalle proprie responsabilità, ma sia orgoglioso di prendersele sulle spalle a fine mandato.

Davide Vavassori

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