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La politica estera dell’Unione Europea

AshtonCon la protesta Ucraina si è recentemente risvegliato il dibattito sulla funzione dell’Unione Europea nel mondo, in particolare nei confronti dei suoi vicini più prossimi. Di fronte alle violenze efferate tra agenti governativi e protestanti ucraini – variegati al loro interno tra frange europeiste, nazionalisti e oppositori politici sui generis – la riflessione corre veloce agli altri episodi storici che hanno visto l’Unione Europea confrontarsi con ribellioni sui propri confini, dai Balcani del 1992 fino alla recente Libia del 2011. Come può l’Unione Europea rapportarsi a questi partner strategici così vicini geograficamente ma così distanti politicamente?

Dal fallimento della Comunità Europea di Difesa del 30 agosto 1954 – data in cui il parlamento francese affossò il progetto di “costituire” un esercito europeo – il ruolo dell’Unione Europea nel mondo è stato oggetto di un’evoluzione lenta e faticosa, dovuta principalmente al fatto che la sovranità nazionale sulla difesa del territorio e la politica estera faccia parte di uno zoccolo duro concettualmente difficile da cedere a cuor leggero nella cultura degli Stati nazionali europei. Ad oggi i principi generali e le linee d’azione della politica estera europea sono delineate dal Consiglio dei Ministri degli affari Esteri dei paesi membri: considerata la sensibilità politica dell’argomento, per le votazioni viene richiesta l’unanimità totale dei membri, il che equivale a fornire ognuno dei 28 Ministri nazionali presenti di un diritto di veto insindacabile. Il Trattato di Lisbona del 2009 introduce la possibilità dell’astensione costruttiva: nel caso in cui un paese membro voglia manifestare la propria contrarietà alla decisione votata senza però bloccarne il processo di voto, può astenersi e chiamarsi fuori, simbolicamente e empiricamente, dall’oggetto votato. Questo sistema  di decisione ed implementazione rende la politica estera dell’Unione Europea molto fragile e vulnerabile alle rivendicazioni che volta per volta si possono venire a creare all’interno dei 28 paesi membri. Ad esempio, quando nel 2011 si trattò di dover votare un intervento armato in Libia per porre un freno alla guerra civile in atto, paesi come l’Italia, la Francia e la Spagna, manifestarono un chiaro interesse all’intervento – in quanto estremamente sensibili alle conseguenze di una guerra civile prolungata senza limiti sotto il profilo dell’immigrazione e della sicurezza delle coste – mentre la Germania, chiaramente meno sensibile a queste tematiche, non vide alcun motivo valido per rompere il tradizionale principio di non intervento nelle faccende politiche interne ad uno Stato esteriore. La faccenda si risolse con un intervento dei singoli paesi europei interessati sotto l’egida della NATO a guida statunitense. Un altro caso in cui la sicurezza sui confini venne subappaltata all’alleato americano fu la guerra in Serbia e poi in Kosovo degli anni ’90: quando nel 1991 la Serbia rispose con la violenza alle rivendicazioni d’indipendenza bosniache, la volontà d’intervento della Germania cattolica di Helmut Kohl a favore del principio di autodeterminazione dei popoli cattolici croati, sloveni e bosniaci, venne supportata dalla Francia ma stoppata sul nascere dalla Gran Bretagna, ostile ad un impegno bellico lontano dalle proprie coste senza neppure il supporto  statunitense.  Supporto che arrivò nel 1993 in seguito all’elezione di Bill Clinton che guidò un’operazione militare statunitense nel cortile di casa europeo, risolvendo in sei mesi un ginepraio politico in cui gli interessi europei erano rimasti bloccati per anni. Tuttavia in altri casi storici, caratterizzati da una distanza geografica e politica dall’Unione Europea, la politica estera europea ebbe successo: nel 2003 in Congo e nel 2008 in Georgia. Nel 2003 l’Unione Europea intervenne per disarmare le fazioni africane di una guerra civile responsabile dal 1996 al 2003 di circa 3,9 milioni di morti (il conflitto più sanguinoso dopo la seconda guerra mondiale) con un contingente di 3000 uomini, gestiti di comune accordo tra tutti i Ministri degli Esteri europei. In Georgia nel 2008, in seguito al conflitto russo-georgiano per le regioni dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, l’Unione Europea votò l’invio di una missione comune che gestisse la smilitarizzazione della zona.

Nel particolare caso dei paesi confinanti l’Unione Europea, valido dunque per un insieme assai variegato di Stati, dal Maghreb agli Stati Balcanici, in seguito all’enorme allargamento del 2004, che vide l’ingresso di 10 stati ex-sovietici e uno spostamento delle frontiere europee verso aree geopolitiche instabili, l’Unione Europea decise di rivedere la propria politica di vicinato. Venne istituita dunque La Nuova Politica di Vicinato con lo scopo di omogeneizzare le relazioni europee con tutti gli Stati confinanti tramite un aumento delle relazioni commerciali ed uno stimolo a rafforzare le relazioni politico-economiche già esistenti, senza però alcuna prospettiva nuove di adesioni nel breve periodo. Secondo l’opinione di molti rappresentanti politici di questi paesi – Marocco e Algeria in testa – questa nuova politica di vicinato rischia di mettere in concorrenza i paesi esterni all’Unione Europea per una corsa all’ottenimento di maggiori benefici dalle relazioni europee in termini di accordi commerciali e sovvenzioni economiche – corsa nella quale, paesi come Bielorussia e Ucraina partono indiscutibilmente più avvantaggiati in quanto organizzati politicamente e burocraticamente meglio dei paesi del Maghreb.

Il caso Ucraino di queste settimane è, al pari del caso Balcanico e Libico, emblematico della nullità europea nella sua risoluzione. Basta dare un’occhiata al documento firmato nel pomeriggio di questo venerdi 21 febbraio per porre fine alle violenze, re-instaurare la costituzione del 2004 e indire elezioni entro dicembre: la firma della parte europea all’accordo è posta da Sikorski, Steinmeier e Fabius – Ministri degli Esteri di Polonia, Germania e Francia – mentre Catherine Ashton – Alto Rappresentante degli Affari Esteri dell’Unione Europea, responsabile della politica estera europea – non ha nemmeno partecipato ai negoziati che hanno portato l’accordo. In attesa di vedere dove porterà il caos ucraino dopo la fine dei giochi di Sochi, quando Vladimir Putin potrà dire in libertà ciò che pensa sul caso, l’Unione Europea sembra aver perso l’ennesima occasione per agire come un unicum, per lasciare spazio ad un’azione dei singoli Ministri europei.

Davide Vavassori

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Discussione

2 pensieri su “La politica estera dell’Unione Europea

  1. Ciao Davide,
    pezzo interessante.
    Andrei però cauto sul successo della politica dell’Unione Europea in Congo.
    L’intervento a cui fai riferimento è limitato alla smilitarizzazione delle milizie nella provincia dell’Ituri che è solo una piccola parte (e per molti aspetti minoritaria) dell’arco di instabilità che coinvolge l’est del Congo ed in particolare le province del nord e sud Kivu dove gli scontri (anche se in tono minore rispetto agli anni a cui fai riferimento), purtroppo, continuano.

    Senza contare quanto quello in Ituri è stato, come sta avvenendo in queste settimane per il Centrafrica, più un intervento francese (anche se sotto la bandiera UE) che europeo.

    Pubblicato da Michele | 24 febbraio 2014, 13:17
  2. Ciao Michele,

    hai ragione, come ampiezza ed efficacia l’intervento in Congo è stato sicuramente estremamente ridotto. Tra l’altro sono state due le missioni, Artemis nel 2003 e Eufor Rd Congo nel 2006, entrambe a guida francese che, come dici tu, ha di fatto trascinato tutti gli altri in un’operazione sotto bandiera europea (conveniente per condividere i costi economici e in termini di legittimazione politica era opposta all’odioso unilateralismo americano di quegli anni in Iraq ed Afghanistan). La Francia, in questo senso, prosegue un avventurismo in politica estera dai tempi di De Gaulle – che durante il bipolarismo voleva creare un’immagine nazionale più forte di quanto non fosse in realtà – fino a Hollande in Mali – che a suo modo cercava di distrarre l’opinione pubblica dai fallimenti politici interni, creando a sua volta un’immagine della Francia sopravvalutata a livello internazionale.

    L’operazione in Congo e quella in Georgia venivano qui citate come gli unici due esempi di accordo raggiunto a livello europeo in tema di politica estera tramite azioni operative all’estero. Il punto interessante è che i ministri degli esteri riescono ad accordarsi solo per operazioni distanti migliaia di chilometri dalle loro coste mentre subappaltano le crisi del mediterraneo agli statunitensi. Dove gli interessi nazionali sono meno importanti (la messa in sicurezza del Congo aveva un valore strategico assolutamente nullo se paragonato a quello della Libia o, ancor più, della Iugoslavia) la politica estera europea ha una possibilità di realizzarsi; ma dove gli interessi nazionali stridono, allora ognuno per sé e la NATO con tutti..

    Davide Vavassori

    Pubblicato da Davide | 24 febbraio 2014, 20:11

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