Da qualche anno a questa parte si sente spesso parlare della distanza tra l’Europa e i suoi cittadini, distanza che viene riconosciuta in un deficit democratico di cui è affetto il processo decisionale europeo sin dalla sua creazione. Ricercando le cause di questo deficit, occorre ricordare che il sistema di istituzioni europee nacque negli anni ’50 con lo scopo di amministrare la produzione di carbone e acciaio (all’interno della neonata CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e di controllare i flussi commerciali attraverso un sistema di commercio di libero scambio tra gli Stati parte della costituenda Comunità Economica Europea. Di conseguenza, quella che nacque come semplice Assemblea consultiva della CECA (e che sarebbe poi diventata il Parlamento Europeo), non aveva nessun bisogno di essere rappresentativa dei cittadini europei, né la presunzione di giocare un ruolo chiave in un sistema intergovernativo e non ancora sovranazionale. Tuttavia, evolvendo nel tempo e nelle funzioni attribuitegli, il sistema politico dell’Unione Europea ha visto un progresso nell’importanza del ruolo delle istituzioni sovranazionali nella vita quotidiana dei propri cittadini, tutt’altro che proporzionale all’aumento dei poteri riconosciuti all’unica istituzione europea eletta a suffragio universale a partire dal 1979: il Parlamento Europeo.
Analizzando il significato del concetto di deficit democratico oggi possiamo identificare, tra le tante, due ragioni strutturali di questo fenomeno: la prima riguarda il fatto che il potere legislativo all’interno dell’Unione Europea sia prevalentemente gestito da attori – i governi degli Stati membri e i rispettivi Ministri – che a livello statale non hanno poteri legislativi ma bensì esecutivi, creando un deficit di legittimità; la seconda riguarda l’influenza strisciante delle lobby sul processo decisionale europeo. Se al primo problema è stata data una risposta convincente con il Trattato di Lisbona del 2009, che ridimensiona il potere legislativo di organi esecutivi nazionali in favore di un maggior ruolo del Parlamento Europeo (unico organo sovranazionale direttamente eletto e quindi dotato di legittimità popolare), il ruolo delle lobby entro il Parlamento Europeo continua ad essere sostanzialmente incontrollato. Volendo contestualizzare l’attività delle lobby, bisogna anzitutto ricordare che oggi l’Unione Europea, di pari passo con il recente aumento dei poteri legislativi del Parlamento, fa più attenzione non solo al volere degli Stati membri e dei loro governi, ma si prefigge l’obiettivo di ascoltare anche la società civile e i suoi rappresentanti. Questo comporta un’apertura ad una serie variegata di attori che vanno dai rappresentanti dagli enti locali, alle associazioni di consumatori, ai sindacati, alle lobby appunto. Feroce critica mossa a Bruxelles è quella che indica il Parlamento Europeo come colpevole di dare più ascolto ai consigli delle lobby economiche, ossia a quelle associazioni di individui organizzati per difendere i propri interessi economici e commerciali seguendo una semplice dottrina di massimizzazione del profitto, che, avendo a disposizione mezzi finanziari maggiori rispetto agli altri attori, riescono ad imporre i loro bisogni ai parlamentari. Per rispondere a questa critica, fondata su un’osservazione oggettiva delle possibilità economiche maggiori di alcuni gruppi di pressione rispetto ad altri, bisogna ricordare che gli europarlamentari hanno in media una formazione in pochi campi specifici e che invece il loro operato copre un’infinità di mansioni. Ogni europarlamentare in buona fede ha dunque la necessità di ascoltare più pareri possibili prima di decidere in merito a questioni delle quali, 9 volte su 10, non è un esperto (ricordiamo che la stragrande maggioranza degli atti europei ha un forte valore, oltre che politico, soprattutto tecnico incidendo su settori come il commercio, i trasporti, le comunicazioni) ed è quindi ben felice di interagire con i principali soggetti che la proposta di legge andrà a colpire. In altre parole, è più che naturale che un decisore politico senta il bisogno di confrontarsi con le parti chiamate in causa dal cambiamento legislativo che intende operare. Tuttavia l’accessibilità dei diversi attori chiamati in causa dal decisore politico rende il dialogo con l’europarlamentare una corsa alla sopravvivenza tra protezione di interessi del consumatore o del produttore, dell’utente di un servizio o del gestore dello stesso servizio: una corsa nella quale le lobby meglio finanziate partono con un vantaggio spesso incolmabile per gli avversari. Trattandosi di relazioni perlopiù informali, le consultazioni degli europarlamentari sono assai difficili da controllare, sebbene un rimedio per quanto riguarda la trasparenza di questo processo sia possibile: introducendo una legge che imponga ai parlamentari europei di stilare una lista dei soggetti consultati durante il processo decisionale, si potrebbe chiarificare il motivo per cui un europarlamentare sia a favore di un progetto di legge piuttosto che di un altro. Questa lista di contatti accompagnerebbe le relazioni con le quali gli europarlamentari arricchiscono il dibattito all’interno delle Commissioni e permetterebbe al sistema europeo di rispondere a quella richiesta di maggiore trasparenza degna di una struttura politica in grado di migliorare se stessa e rendersi più affidabile agli occhi del cittadino europeo.
Davide Vavassori
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