Di sicuro ci avete fatto caso. Ci troviamo di fronte a una campagna elettorale totalmente priva di un sentimento assai nobile: il provar vergogna. Tutti i volti e i personaggi che un anno fa si erano fatti da parte per responsabilità, ora, per irresponsabilità, si presentano alle urne. Le promesse fioccano, a destra e a sinistra, persino Silvio Berlusconi: riconoscimento delle unioni omosessuali – ossia quanto di più conforme al mainstream delle idee dominanti -, alla Lombardia il 75% delle sue tasse, abolizione dell’Imu, rilancio del settore produttivo italiano, tutela dei lavoratori, riforma del mercato del lavoro, eccetera. Evito di entrare nel discorso MPS, è sotto gli occhi di tutti l’imbarazzante reazione del Partito Democratico. Così come non provo nemmeno a evidenziare il fatto che pochi candidati sviluppino questo promettere secondo quanto richiesto da virtù elementari per l’approccio a una politica seria quali l’onestà e la lealtà verso i cittadini: “come?”, “in che modo?”, “con quali persone?”, “con quali mezzi, precisamente?”.
Ma tutti i promettitori si vietano un preciso genere di promesse. Quelle su un settore che oggi contribuisce solo al 3,3% al nostro Pil, il turismo. Forse è passato di moda, anche nella nostra città di Como. Non se ne parla più se non attraverso sporadiche iniziative di estrema nicchia o patetiche litigate su mostre e grandi mostre. La politica, su questo argomento, dove è finita? Nessuno che a livello nazionale e locale afferma con decisione: combatterò l’inciviltà e la sporcizia pubblica e privata che brutta i muri e sporca i monumenti, la maleducazione incivile, le fregature di ristoranti e alberghi che fanno scappare gli stranieri, la scarsa formazione degli addetti ai lavori – troppi ancora i ristoranti comaschi con una carta dei vini senza il nome dell’Azienda di produzione o addirittura della denominazione -, perché “vendere il turismo” è “vendere il Paese”, la sua educazione, la sua civiltà, onestà, gentilezza; e senza civiltà, niente turismo.
L’unica cosa che pare importante oggi in un Comune in ambito turistico è far vedere che si è fatto un Piano. Non importa se irrealizzabile (o realizzabile difficilmente), senza un riferimento al mercato e alla domanda turistica, avulso dalle effettive potenzialità interne all’area – si da per scontato che qualsiasi territorio o città italiana possa fare turismo -, privo di un’analisi seria della concorrenza e della stagionalità della destinazione. Ci si ritrova così a integrare una programmazione del territorio sull’aleatorietà e sulla parcellizzazione degli interventi: spesso la premessa di un processo di deresponsabilizzazione degli attori locali. Se si intende affrontare il processo di programmazione turistica in un’ottica di approccio strategico al governo della destinazione, occorre pertanto prendere atto che:
- l’obiettivo non è mai quello di stravolgere le connotazioni specifiche di una città, ma di valorizzarne l’identità;
- l’orizzonte temporale deve essere necessariamente di medio/lungo periodo, ma con un’attenzione al raggiungimento di qualche risultato concreto già nel breve termine, pena la perdita di credibilità;
- la funzione prioritaria è quella di puntare all’eliminazione delle criticità (quali? serve un’analisi seria a supporto), senza cedere alla comoda scelta di intervenire su quello che già va bene e/o su ciò che è poco importante ma di facile realizzazione;
- l’efficacia del processo di programmazione dipende dall’attenzione ai fattori di sostenibilità e di competitività, da declinare e da condividere con la popolazione attraverso tavole rotonde, incontri pubblici e prese di posizione da parte di chi governa la città e ne ha la responsabilità diretta;
- l’efficienza è strettamente correlata alla presenza delle necessarie e adeguate risorse umane interne all’area (chi fa programmazione? chi decide? chi attua? chi forma?);
Sono questi i punti centrali alla base delle primarie riflessioni intorno al fare turismo che svilupperò in seguito. Il resto, perdonatemi la finezza, son promesse elettorali, cioè balle.
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