Il periodo di crisi che stiamo vivendo genera serie difficoltà, dubbi e timori in ciascuno di noi, sebbene l’Unione Europea rimanga sempre e comunque, secondo le statistiche OCSE, un punto di riferimento economico per tutto il mondo: sommando la ricchezza di tutti i suoi Paesi, infatti, l`Europa è ancora il continente più produttivo e benestante del pianeta.
Di fronte a ciò, mi colpisce quanto il nostro quotidiano, tra facebook e twitter, colleghi di lavoro, amici e cene in famiglia, sia invaso da più domande che non trasudano sentimenti di ottimismo per il futuro: si sta meglio dentro o fuori dall’Euro? Perché gli aiuti alle banche e non alle imprese e alle famiglie? Vale la pena il restare aggrappati ad una moneta che, secondo alcuni commentatori, rimane ad oggi fonte e motore unici di unità? Perché questo servilismo politico ed economico verso un’entità molteplice ed astratta denominata per semplicità “i mercati”? L’argomento è spinoso, si rischia di scivolare in facilonerie e banalità; quando si parla di futuro si entra nel terreno delle opinioni, anche se confortate dalle proiezioni nel tempo delle attuali tendenze. Ma è proprio la tendenza in atto a preoccuparmi poichè vede sempre più la democrazia percepita come “una competizione delle élites innanzi alle masse” (Schumpeter) e il cittadino, di conseguenza, reagisce in maniera diffidente, irascibile e, molto spesso, con atteggiamenti di chiusura rispetto al vivere politico.
Partiamo innanzitutto dai dati e da alcune considerazioni che spero possiate condividere con me: immettere liquidità nelle banche non sta aiutando né i cittadini che avrebbero bisogno, invece, di misure specifiche per rinegoziare i mutui, né tantomeno le imprese che soffrono la mancanza di credito, sia in termini quantitativi che in termini di aumento del suo costo, a discapito della piena sostenibilità del ciclo aziendale, vittima di una crisi persistente negli ordini e nelle vendite. È risaputo inoltre, grazie all’ultima indagine della BCE e della Commissione Europea (Bollettino mensile, Bank Lending Survey), che nel bimestre dicembre-gennaio, se da una parte le banche italiane hanno acquistato titoli di Stato per 32,6 miliardi, dall’altra, nello stesso periodo, i prestiti bancari alle imprese e alle famiglie italiane sono diminuiti di 20 miliardi. “Mancano i soldi”, soprattutto nella Pubblica Amministrazione, felice ritornello che ci sentiamo ripetere dal Sindaco del Comune più piccolo d’Italia su su fino al Governo Monti. Eppure la BCE, banca centrale per la moneta unica europea, il cui compito principale è quello di “preservare il potere di acquisto della moneta unica”, il 29 febbraio 2012, ha prestato 530 miliardi per tre anni alle banche sparse in Europa, una somma simile a quella già elargita il 23 dicembre 2011 (489 miliardi). Tutto ciò ad un tasso incredibile dell’1%.
“Cui prodest?” fece dire Seneca a Medea. “A chi giova tutto ciò?” è quello che si domanda il cittadino europeo. Certamente non all’integrazione politica dell’Unione Europea, certo non a preservare il potere di acquisto dell’Euro nel medio – lungo periodo. No Signori, per dirla con J.M. Keynes: “la cosa che dobbiamo cancellare dalla nostra testa, è la concezione di un ministro delle Finanze che si consideri come il Presidente di una sorta di Società per azioni”; no Signori, non vi sto chiedendo di iscrivervi in massa a un corso avanzato di Microeconomia né, personalmente, sento il bisogno di un Professore di Economia Monetaria posto a governare l’Europa. A riguardo, io son fermamente convinto che, nonostante gli infiniti tentativi di ricondurre a modelli matematici i comportamenti dell’uomo e delle finanze pubbliche, l’economia non è né un’arte divinatoria né sarà mai una scienza esatta. L’esperienza e la storia insegnano che in quest’esercizio divinatorio spesso si sbaglia e di grosso!
Quello di cui sento fortemente la mancanza, in fin dei conti, è un’azione politica forte e decisa, della serie: si scelga una strada e la si percorra fino in fondo. Ma a chi spetta questo compito di comando? Chi se non a chi fa politica nelle Istituzioni? Dove siete finiti? Dove si è nascosta la Politica? Ecco appunto, altre domande che invadono i nostri giorni. Altro non è, questo interrogarsi, che un disperato urlo della democrazia, domande che pretendono risposta immediata. Invece, dai politici e dai commissari europei, ci giungono voci sommesse o non ci giungono affatto (che fine ha fatto il Signor Barroso?), percepiamo solamente piccoli slogan ad effetto irritante: “ci vuole più Europa” oppure l’enigmatico “bisogna cedere più sovranità”. E intanto, questo spazio incredibilmente vuoto viene occupato dai banchieri, dagli investitori, dagli speculatori, dai cosiddetti mercati, nuovi e principali stakeholders del Governo d’Europa (e degli Stati nazionali). Ma se la comunità politica matura “è, e deve essere in realtà, l’unità organica e organizzatrice di un vero popolo” (Pio XII) quindi essenzialmente comunità relazionale, è giunto allora davvero il momento per il politico europeo di riempire questi slogan, motivare e spiegare queste frasi-feticcio, illustrare il come e il perché. È giunto il momento, infatti, che i nostri rappresentanti politici dicano in modo serio e competente ciò che ritengono realisticamente essere il “bene comune” perseguibile per l’Europa e per l’Euro, e lo mettano in pratica. Sennò gli si ricordi loro, con maggior forza, che la porta della democrazia rimane, fortunatamente, sempre aperta: se incapaci a gestire la complessità, si facciano da parte.
Di nuovo, però, si riaffaccia in questo modo la dorata figura del “Tecnico”…ma questo è un altro discorso, un discorso di formazione e selezione della classe dirigente, di educazione e maturazione dell’idea politica nel cittadino. È un discorso che interpella noi, subito, ora, senza scuse.
Le venti maggiori banche europee, dallo scorso anno, si sono messe a vendere a manbassa i titoli in portafoglio per alleggerirsi di asset che assorbono capitale di vigilanza, e in compenso si sono gettate sui derivati, che invece sono quasi ignorati ai fini dei ratio patrimoniali. Risultato: i 5.854 miliardi di derivati che hanno in pancia sono arrivati a contare più della metà del Pil europeo. Rispetto al PIL, il totale dei derivati sarebbe oggi pari al 254% in Svizzera, al 106% nel Regno Unito, al 55,3% in Francia, al 38,4% in Germania, al 15,3% in Spagna, al 10,7% in Italia. Siamo di fronte a un caso emblematico dei costi che si possono pagare quando non si vuole riconoscere che la ricerca individuale della migliore gestione del rischio attraverso uno strumento finanziario può creare dei rischi sistemici, e quindi l’uso di quello strumento speculativo va limitato. (fonte: R&S Mediobanca – Donato Masciandaro/Antonella Olivieri)
Cosa può fare la politica allora? Disegnare subito provvedimenti di deterrenza (questi derivati in pancia alle Banche europee – in testa Deutsche Bank) sono per il 97% del totale prodotti speculativi, il restante 3% è per la copertura dei rischi): vietare temporaneamente i derivati speculativi sui titoli di stato. In situazioni eccezionali come quelle che stiamo vivendo, divieti mirati e temporanei possono far molto all’economia di mercato. Almeno a quella sana. (fonte: Donato Masciandaro)
Complimenti per la tua competenza caro Stefano personalmente non ho le conoscenze per un commento dettagliato, ma una cosa la posso “Quanto è ben scritto questo pezzo!”
Scusa il ritardo Stefano ma al di là delle valutazioni economiche queste sono belle intenzioni.
Poi ci i deve scontrare con la realtà di 27 capi di stato e di governo che di cedere ancora un po’ di potere a qualsiasi istituzione federale proprio non ne hanno voglia.
Un vecchio marpione delle stanze brussellesi usa dire che l’integrazione europea avanza: “quando anche l’acqua prende fuoco”. Capisciammè.