Giornata tutta in salita per il differenziale di rendimento tra Btp decennali e Bund tedeschi equivalenti, che a metà seduta attesta a quota 524 punti. Il rendimento è tornato così sopra la soglia critica del 7%.
Monti annuncia che le prime misure per la crescita arriveranno entro il 23 gennaio. In primo luogo, verrà affrontato il capitolo delle liberalizzazioni, seguirà la riforma del mercato del lavoro, con le infrastrutture e la riforma della giustizia civile. Ma non ci sarà bisogno di una nuova manovra.
Ieri il prezzo della verde ha segnato un nuovo record salendo a quota 1,722 euro al litro. L’arrampicata è stata rilevata negli impianti Eni e ora la mossa della leader di mercato potrebbe innescare aumenti anche ai distributori degli altri operatori.
Italia, fine 2011. Prime notizie che mi appaiono aprendo Google News. Ritrovo ancora le parole che hanno caratterizzato gran parte dell’anno: spread, crescita, liberalizzazioni, riforma, manovra, nuovo record, aumenti dei prezzi. Vado oltre, e vengo sommerso da commenti, lamenti e richieste di lettori-cittadini. “Lo Stato deve…”, “il Governo ci aiuti…”, “dal Presidente del Consiglio mi aspetto..”. Sia chiaro, capisco e condivido lo smarrimento e l’ansia di fronte a un inutile – e di corto respiro – inasprimento fiscale, a un bizzarro tentativo di rilanciare un’economia con paradigmi di crescita e sviluppo sempre uguali a se stessi – e cause prime di questa crisi strutturale del mondo occidentale. Ma pretendo dal cittadino uno scatto d’orgoglio, pretendo dalla politica un’assunzione piena di responsabilità riguardo i propri doveri: lo Stato è una creazione umana, sostenuta da determinate virtù, da determinati presupposti che devono tornare a fiorire nel cuore degli uomini. È impensabile che di fronte a una difficoltà, a un conflitto o a un problema, il cittadino continui a pretendere che immediatamente se lo assuma lo Stato o il Governo, che s’incarichi direttamente di risolverlo con i suoi giganteschi e invincibili mezzi. Questo è il maggior pericolo che oggi minaccia il nostro vivere sociale: l’annullamento del rischio, della lotta, dello sforzo personale costante che, in definitiva, sostiene, nutre, vivifica il destino degli uomini. Ma proviamo ora a guardare le notizie internazionali.
Il contrammiraglio Mahmoud Mousavi, vice comandante della Marina iraniana, ha annunciato all’agenzia di stampa iraniana Fars che Teheran inizierà a testare domani missili a lunga gittata nel Golfo Persico.
È accaduto qualche giorno prima di Natale. Le autorità doganali finlandesi compiono un’ispezione di ruotine sulla «Thor Liberty», una nave da carico che batte bandiera dell’Isola di Man, il paradiso fiscale sotto influenza britannica, che ha fatto scalo al porto finnico di Kotka. A bordo, scoprono 69 missili americani Patriot, fabbricati dalla Raytheon, e 160 tonnellate di esplosivo ad alto potenziale: il tutto viaggiante sotto la dicitura «fuochi d’artificio» e diretti a Shanghai.
Il direttore del Weekly Standard William Kristol solo poche settimane fa scriveva che il Congresso dovrebbe approvare una risoluzione che autorizza Obama all’uso della forza contro l’Iran considerandolo responsabile per gli attacchi contro le truppe americane in Iraq e Aghanistan e anche per il suo «programma per le armi nucleari».
Mondo, fine 2011. Soffiano venti di guerra, inutile far finta di nulla. Strani movimenti militari, voci che strillano e fanno a gara a chi grida più forte. Sentire l’altro, ascoltarne le ragioni, cercare mediazione e dialogo. Anche queste sembrano ormai diventate parole-feticcio, ripetute un’infinità di volte, svuotate di ogni significato, purtroppo anestetizzate. Ci vorrebbe allora un po’ di silenzio in questi giorni. Ma non quello dell’ennesimo grottesco divieto, cioè quello dei botti di capodanno. Esempio se volete banale ma ormai si tende a vietare tutto, preventivamente, si è rinunciato a fare appello alle qualità umane dei cittadini adulti – la ragione, la moralità – e a sostituirle con la creazione di riflessi condizionati. Solo la sanzione a posteriori, quando certa e vigorosa, rispetta la dignità dell’uomo, mettendolo di fronte alle sue responsabilità, ossia prende sul serio la sua libertà, anche del colpevole; invece, è l’uomo irresponsabile sotto tutela che deve essere prevenuto, gli si deve impedire di farsi male, come a un infante.
Ma torniamo al fare silenzio. Silenzio sul serio. Senza aver l’ansia di riempirlo a tutti i costi come succede troppo spesso ai funerali con quegli applausi stonati, segno di una emotività comunitaria incapace di trasformarsi in commozione autentica, in dolore consapevole e personale. Senza aver il timore di coprire con rumore volgare e distrazioni le proprie paure e le proprie debolezze. Silenzio, silère: tacere. Perché le fatiche del vivere, personali e comunitarie, vanno guardate in faccia, vanno capite, e vanno affrontate. L’uomo è, gli piaccia o no, un essere costretto per costituzione a superare se stesso. E a incontrare l’altro, a comprenderlo, all’interno di un dialogo che conduca entrambi alla verità sulle questioni, perché la verità con-vince, vince insieme, mai da sola.
Per cui VoCi, ti auguro di lasciare sempre spazio al silenzio prima dell’azione. Sia un buon anno quello che hai di fronte, un 2012 ricco di tensione verso il bello, il buono, il giusto e, in definitiva, verso il vero. Auguri!
“Avere glorie comuni nel passato, una volontà comune nel presente; aver compiuto insieme grandi cose, volerne compiere altre ancora: ecco le condizioni essenziali per essere un popolo. Nel passato, un’eredità di gloria e di rimorsi; nell’avvenire un ugual programma da attuare. L’esistenza di una nazione è un plebiscito quotidiano”. Questa è la notissima definizione di popolo di Renan. Come si spiega la sua eccezionale fortuna? Senza dubbio, grazie alla formula finale. L’idea che la nazione consista in un plebiscito quotidiano agisce su noi come una liberazione. Sangue, lingua e passato comuni sono principi statici, fatali, rigidi, inerti: sono ceppi. Se la nazione consistesse solo in questo sarebbe una realtà posta alle nostre spalle, con cui non avremmo nulla a che vedere. La nazione sarebbe qualcosa che preesiste, non una realtà che si costruisce. E neppure avrebbe senso difenderla dagli attacchi altrui. Lo si voglia o no, la vita umana è costante tensione verso il futuro. Anche nell’istante attuale noi tendiamo verso ciò che sta per accadere. Per questo vivere è sempre, sempre, senza pausa né riposo, agire. Come può non essere universalmente evidente che fare, ogni fare, significa realizzare il futuro? Anche quando ci affidiamo ai ricordi. Noi ci abbandoniamo alla memoria per ottenere qualcosa nell’immediato, anche se non è altro che il piacere di rivivere il passato. Questa modesta gioia solitaria ci si è presentata un istante prima come un futuro desiderabile; per questo lo facciamo. Ne consegue, perciò, che nulla ha valore per l’uomo se non è in funzione dell’avvenire. Se una nazione consistesse solamente nel suo passato e nel presente, nessuno si curerebbe di difenderla. Coloro che sostengono il contrario sono degli ipocriti o dei folli. Il passato di una nazione proietta le sue lusinghe – reali o immaginarie – nel futuro. E ci sembra desiderabile un avvenire in cui la nostra nazione continui a esistere. Per questo ci mobilitiamo in sua difesa: non per il sangue, né per l’idioma, né per il comune passato. Nel difendere la nazione difendiamo il nostro domani, non già il nostro ieri. Ortega y Gasset.
Discussione
Trackback/Pingback
Pingback: Evadere o frodare? « VoCi // Volontà Civile - 13 gennaio 2012