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E noi siamo tutti in fila davanti a un sogno

Ci arriva questo pezzo scritto da Umberto, carissimo amico e socio di VoCi. Lo pubblichiamo volentieri come ulteriore pungolo e stimolo al dibattito sul futuro della nostra città di Como.

obliteratrice guastaAbitudine. Una parola alla quale non riesco a dare in partenza una valenza positiva o negativa. Una parola neutra come il sapone che non farà male alla nostra pelle, che non ci aggredirà le mucose e non farà lacrimare gli occhi. Buone e cattive abitudini: dai un’accezione negativa a quella che viene ritenuto una buona abitudine e sarai tacciato di disfattismo o di eccentricità. L’esercizio dell’abitudine è un processo grazie al quale, o per colpa del quale, possiamo ripetere anche infinite volte le stesse attività riducendo sempre più il livello di attenzione necessario e il coinvolgimento emotivo; citazione recente: prendo il sole con il morto accanto, come se giocassi a briscola. Che squallore, ormai ci siamo abituati anche alla morte, per di più in maniera televisiva, distante e distaccata. Forse, semplicemente, più aumenta la nostra abitudine al quotidiano più perdiamo la capacità stessa di osservare. Forse se parlassi di assuefazione e non di abitudine potrei cambiare la chiave di lettura: chi  è assuefatto richiede, secondo la scienza,  una maggiore dose di sostanza per ottenere il medesimo effetto e, spesso, se viene privato di tali sostanze , giunge ad avere reazioni scomposte (cercate su wikipedia “crisi di astinenza” o passate in casa mia quando finisce il latte per la colazione). Noi oggi abbiamo acquisito una pessima capacità: ci abituiamo a ciò che è brutto, siamo sempre meno capaci di offenderci davanti a un comportamento errato, alla mancanza di rispetto, al decadere di cose belle che si frantumano in mille pezzi sotto gli assalti del tempo e dell’incuria, siano esse effimere bellezze umane o vestigia storiche come Pompei. Se tutti fossimo in T-Shirt ad una celebrazione, una persona che si dovesse presentare vestita con una camicia rappezzata sembrerebbe perfino elegante; ma forse saremmo noi a non esserlo e lui stesso non lo sarebbe in un contesto differente, non credete?

La nostra città di Como in questo è maestra. L’asse Camerlata – Tangenziale –  Stazione FS San Giovanni è esempio eclatante che forse noi non vediamo più ma che l’occhio straniero può aiutarci a leggere. Facciamo un gioco contro l’abitudine, diventiamo per un istante guide di un tour virtuale per  turisti su un double-decker bus che li conduce a Como, città  proclamata vox populi turistica, cittadina dai mille doni, culla della seta, luogo che ha dato i natali ad Alessandro Volta, valle plasmata nel quaternario e ricca di fossili  tra i quali spicca, giustappunto,  quello dell’abitudinosauro. Partiamo subito con il nostro tour: “Signore e Signori, benvenuti a Como! Alla vostra sinistra il semi-crollo dell’area dell’ex Ospedale, poco più avanti potrete notare, attorniato da facciate di palazzi che decadono e sfioriscono in mille coriandoli di vernice impolverata, una moderna area post-industriale caduta in pezzi. In fondo, sulla vostra destra, se guardate bene, ecco sbucare il parcheggio più inutilizzato e tanto sognato dalla popolazione comasca. Dopo la rotonda che rotonda non è ma ognuno fa quel che vuole, potete contemplare, mentre ci immettiamo in tangenziale – maledetta abitudine, chiamiamo tangenziale una strada interna – il nobile cantiere ormai tristemente disabitato della Ticosa, gioiello della fu innovazione tessile e dell’ingegno comasco, vero biglietto da visita (sintesi quasi perfetta) della città; osservate ora il magnifico, quasi artistico insieme di variopinte immondizie che rendono questo luogo una vera oasi ecologica, dove alberi ad alto fusto possono ri-colonizzare i terreni che l’umanità a loro sottrasse nei secoli. Non scordate di fiutare l’aria per sentire l’aroma del lago! Sentite puzza? Ah, è il depuratore. Non preoccupatevi, col tempo vi  ci abituerete, come alle successive due aree dismesse, al cantiere infinito ed a tutto il resto”.

Eh no. Non voglio essere bollato come disfattista e tra gli artefici di questo degrado. Non complice. Dobbiamo provare,  ogni volta, vergogna per ciò che vediamo. Il vergognarsi è un indizio di nobiltà d’animo, almeno di riguardo verso se stessi e il prossimo, il cui giudizio mostriamo di stimare, e ai cui occhi ci rincresce di scadere. La nostra vergogna è il primo antidoto per questa brutta abitudine e ci fa agire.  Ci costa fatica, fatica pura, fatta in primis di rabbia, di necessità di indignarsi, poi, appunto, di vergogna, infine di fatica nello spendersi in prima persona, metterci la faccia e superare le proprie paure – cosa mai penseranno di me?  Ma ci rendiamo conto invece dove invece ci può portare l’abitudine unita alla pigrizia? Ci conduce all’accettazione del degrado, lento, graduale come quello di un fisico che subisce l’attacco degli anni senza lottare. Lento. Graduale. Inesorabile. Sei morto prima di accorgetene. Ci avessi pensato prima. Beh mi abituerò a stare sdraiato per sempre. Lentamente ed inesorabilmente rimpiangiamo i tempi andati, le memorie di bellezza e non ci rendiamo conto che tristemente  ci  siamo dimenticati come si facciano le cose fatte bene. Ma c’è speranza: come abbiamo potuto cambiare in peggio, possiamo cambiare in meglio, è solo  questione di educazione (o auto-educazione):  come ci siamo dis-educati, è possibile ri-educarci. Risalire dal vergognoso abisso ed uscire a riveder le stelle.

Personalmente conosco solo l’impegno come chiave per fare le cose bene. E l’impegno parte dall’ambizione di volerle fare bene, meglio. Io non voglio credere che a tutti piaccia vedere il declino, il degrado il progressivo immiserimento che costantemente, come una stilla, incrosta di salnitro la nostra città. Non abituiamoci ad una cosa brutta per comodità o per pigrizia. Immaginate, ogni volta che passate davanti ai nostri luoghi abituali un insieme di voci che gridano. Gridano AIUTATEMI! Urlano, in faccia a chi proprio perché ha questa ambizione DEVE risolvere i problemi, le frasi di chi non è ancora assuefatto a questo stato di cose, le voci di chi vuole migliorare e non scivolare lentamente verso valle:  “Perché non stai agendo? Perché vuoi deludere chi da te si aspetta le soluzioni? C’è chi non si abituerà mai a questo stato di cose. Chi ti sceglie vuole il meglio!”

Umberto Lenzi

p.s.: il titolo riprende un verso di una canzone; un altro verso recita “e noi siamo tutti in fila davanti al bagno”. Possiamo evitare di scambiare i due versi. Basta volere.

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Discussione

Un pensiero su “E noi siamo tutti in fila davanti a un sogno

  1. Bel testo, che vale anche per le colate di cemento che stanno rovinando il lago pezzo dopo pezzo tra l’indifferenza della sua stessa popolazione. Si stanno abituando al brutto!

    Pubblicato da Nicola Guarisco | 28 giugno 2013, 22:29

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